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Cantieri e restauri

Il Restauro del Polittico dell’ Incoronazione della Vergine di Jacobello del Fiore

  “Teramo, la città più settentrionale degli Abruzzi, il capoluogo di provincia il quale una volta era il più settentrionale anche per tutto il Regno di Napoli, fu per il passato, come è pure al presente, un centro evoluto, all’avanguardia del movimento intellettuale e politico della regione. Capitale del primo Abruzzo Ulteriore […]” (Luigi Savorini, 1935)

Nel Trecento Teramo, pur essendo l’estremo nord est del Regno di Napoli, non dialoga con l’ambito artistico napoletano ma rivolge, più che altro per motivi geografici, le proprie attenzioni alle vicine Umbria e Marche, condividendo con loro un’attrazione per il contesto artistico del corridoio adriatico.

Jacobello verso i trent’anni (1400 ca), lascia Venezia, sua città natale, per raggiungere le Marche e l’Abruzzo, forse in cerca di commissioni.

La data di esecuzione dell’opera non è certa. Valentino Anselmi nella sua tesi di dottorato del 2014 sostiene che l’anno in cui la struttura conventuale agostiniana di Teramo si amplia, 1420, può essere assunto quale data post quem per l’esecuzione del polittico di Teramo, commissionato dagli agostiniani per il nuovo altare maggiore della rinnovata chiesa.

Lo storico Palma nella “Storia della città e diocesi di Teramo” del 1832 riporta invece:

“Il 18 luglio del 1416, il polittico scampò alla razzia delle truppe del Gran Conestabile, il francese Ser Lordino, inviate negli Apruzzi dal conte Giacomo, con l’intento di ridurre alla pace e alla concordia la città, contro gli esiliati delle antiche famiglie (Melatini e Antonelli) che non tardarono a rientrare, alla morte di Ladislao. Ma fecero il contrario e misero a sacco la città, molte chiese furono devastate e spogliate”.

Il restauro del polittico di Jacobello del Fiore (firmato “Jacobell(us) de Flore pinxit”) è stato l’occasione per un approfondimento dell’opera e del suo autore.

Le indagini scientifiche che lo hanno preceduto, hanno consentito di migliorare la conoscenza del modus pingendi dell’artista, fornendo dati certi sui materiali costitutivi, supporto essenziale  nelle operazioni di conservazione. Inoltre hanno messo in luce tutti i rifacimenti di precedenti restauri.

La pulitura delle superfici pittoriche ha palesato una grande maestria nell’utilizzo di tecniche esecutive raffinate, in special modo nelle lavorazioni delle lamine in oro, piuttosto spesse, su cui è stato eseguito “un raffinato lavoro di granitura per realizzare le aureole, i bordi dei manti, la texture delle vesti e altri dettagli decorativi. (relazione restauro C.B.C.).

La carpenteria, ricca e complessa, da considerarsi un unicum con le tavole dipinte, ha un intenso sapore gotico e rimanda, come per altre opere dell’autore, alla bottega dei Moranzone, una famiglia di intagliatori veneti che spesso collaborava con i pittori.

L’Incoronazione della Vergine, polittico di Jacobello del Fiore

Teramo – Cattedrale di Santa Maria Assunta

Il polittico di Jacobello del Fiore venne commissionato dal Capitolo di S. Agostino di Teramo in seguito alla fase di espansione del monastero all’inizio del XV secolo che inglobò e ingrandì la chiesa e l’oratorio di S. Giacomo di proprietà della Congregazione dei Disciplinati della Morte e S. Maria del Soccorso.

La sua originaria collocazione fu nell’altare maggiore della Chiesa di S. Agostino dove rimase fino al XVII secolo quando venne rimosso per fare posto ad opere di Giacinto Brandi e Mattia Preti.

“Lunga e sofferta è la storia del più bello e al tempo stesso più antico dipinto

conosciuto raffigurante Teramo … che è sopravvissuto miracolosamente a secolari traversie. Passò infatti inosservato alle soldatesche di Lordino [1416], che depredarono le chiese teramane e trafugarono il primo Paliotto; sopravvisse all’incuria di chi ne decise la rimozione dal capoaltare della chiesa di Sant’Agostino, dove era stato collocato dai padri agostiniani che lo avevano commissionato, e lo relegò in una soffitta. Dopo la soppressione delle corporazioni religiose e la confisca dei loro beni, scampò alla cupidigia di mercanti e speculatori che tentarono a più riprese di farlo proprio; fu oggetto di aspre e annose contese giudiziarie che alfine ne assegnarono la proprietà alla Confraternita dei Cinturati; nel corso degli anni subì riparazioni, interventi di fortuna, persino ritocchi, e, in tempi più recenti, fu sottoposto a più di un restauro, l’ultimo dei quali a seguito di un atto vandalico …”  

[Fausto Eugeni 2008].

Fu travagliata la vita del polittico di Teramo.

Sebbene nel 1840 la presenza dell’opera fosse stata registrata tra i beni della chiesa non è precisato dove fosse collocata.

Nel 1868 la storia del polittico si intreccia con quella di altri beni appartenuti a chiese e conventi soppressi che, per iniziativa del sindaco di Teramo, Settimio Costantini, vennero raccolti per confluire nella Pinacoteca Civica afferente alla piccola accademia di Gennaro della Monica. Sembra fosse stato lo stesso della Monica a rinvenire, durante la ricognizione per la ricerca delle opere da esporre nel costituendo museo, il polittico in pessimo stato di conservazione, abbandonato in una soffitta del vecchio monastero.

Negli anni successivi si avviò un contenzioso per la proprietà dell’opera tra l’Arciconfraternita dei Centurati e il comune di Teramo che si concluse nel 1907 con il definitivo riconoscimento della proprietà ai Centurati e il suo ritorno nella Chiesa di S. Agostino dove fu esposto in una nicchia, ricavata in una parete laterale della cappella maggiore, protetta da una grata.

Nel 1913, grazie all’interessamento del Soprintendente Prof. Cantalamessa, che invitava il Cav. Gualtiero De Bacci Venuti a visionare il polittico, si decise di procedere con i lavori di restauro. Di estremo interesse è la relazione preliminare redatta da detto restauratore, nella quale le condizioni di degrado richiamate coincidono con le condizioni raffigurate nella fotografia pubblicata da Bindi nel 1889, tranne che per la disposizione delle tavole con le figure di santi e sante collocate nei registri superiori e delle sculture a tutto tondo raffiguranti re, patriarchi e profeti dell’Antico Testamento, collocate nella sommità dei pinnacoli. Due foto del 1906-1907 ca, costituiscono una testimonianza di eccezionale valore documentario sullo stato dell’opera in quella data, ovvero prima che venisse alterata dagli spostamenti e dagli interventi integrativi del restauratore. L’immagine registra un pessimo stato di conservazione e rileva il dato sulla differente distribuzione delle tavole rispetto a come la trovò De Bacci Venuti, cosa che lascia intendere una movimentazione precedente al 1913.

Una scheda redatta nel 1933 riporta che il polittico era in buono stato di conservazione, ma viene precisato al contempo che il restauro aveva ritoccato le figure, la cornice e modificato l’ordine degli scomparti.

Nel 1940 il soprintendente Dott. Ugo Nebbia si rivolse al parroco della Chiesa di S. Agostino dicendo che si rendeva necessario un restauro del polittico per liberarlo “tra l’altro di alcuni inopportuni restauri e rifacimenti compiuti in epoca non lontana”.

Nel 1950 il soprintendente Chierici scrisse a Brandi, segnalando sia la necessità di un restauro che gli evidenti limiti di fruizione e decoro legati al sacrificato sistema espositivo presso la Chiesa di S. Agostino.

Dopo il restauro, nel 1955, il polittico venne definitivamente esposto nel Duomo di Teramo, nella parete destra del presbiterio.

Nel 1981, in seguito a un atto vandalico, che in verità fece danni molto esigui, venne infine spostato sull’altare della Cappella barocca di San Berardo, protetto da una cancellata.